Spazzacamino

L’ho sempre visto nella mia via, ogni anno nel mese di maggio. Altre volte l’ho fotografato e lui sempre disponibile a fermarsi per farsi immortalare. Mi fa sempre promettere per l’anno successivo la stampa delle fotografie, con la sicurezza di esserci che appartiene solo alle cose antiche. Passa discreto tra le case, senza urlare, senza essere invadente, ma con la consapevolezza di un inarrestabile calo di chiamate da parte delle donne. Sembra quasi rassegnato alla fine di un servizio che finirà con lui. I termosifoni e i condizionatori non hanno certo bisogno della sua lunga scopa ruotante e i pochi “camin che fumano” sono troppo delicati per sporcarli con le fuliggini della sua tuta. 
Ogni volta aspetta il pulman di San Giovanni che l’ha portato al mattino, come uno che sa accettare il tempo che passa e le modificazioni che questo comporta. Ogni volta va via, testimone di una porta chiusa in più, di una donna che non c’è più su quella porta, di un comignolo che non fuma più… ed è come se nei suoi occhi, testimoni inesorabili del suo peregrinare comparisse un velo in più di malinconia a renderli ancora più stanchi e più tristi.
Di quante storie sono stati testimoni questi occhi, quante trasformazioni hanno dovuto registrare, di quanti momenti familiari, belli e brutti, sono stati muti e discreti testimoni.
Cosa darei per conoscere (per poterle scrivere) solo una piccola parte di quelle storie che, scomparse nel mondo dei vivi, rimangono ancora registrate nella sua memoria. 
Spero di rivederlo di nuovo l’anno prossimo, con la speranza di potergli carpire una parte di questi segreti, ma soprattutto, per emozionarmi ancora, al pensiero di una parte della nostra storia immateriale che ancora resiste all’effimero della modernità.

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