Reperti

Marca di riscontro certificati degli anni 30 del secolo scorso

Ogni tanto, e soprattutto quando non te lo aspetti, riaffiorano dal passato reperti di un mondo che le nuove generazioni possono soltanto provare ad immaginare. Reperti che nella memoria della mia generazione scatenano una serie di fuochi d’artificio di collegamenti con cose, persone, atmosfere, suoni e discorsi che trovano spazio e razionalità soltanto nella mente di chi ha vissuto quel mondo da cui il reperto proviene. È come fossili viventi riaffioriamo insieme all’oggetto trovato. È una semplice marca per i certificati comunali ti riporta all’odore dell’inchiostro di china nei calamai aperti su una scrivania piena di carte e di raccoglitori; alla voce di persone che ti parlavano senza alzare gli occhi dal foglio su cui scrivevano, alla visione di persone con la giacca e il cappello anche d’estate e allo scalpiccio delle scarpe chiodate sui gradini di pietra. Non è la nostalgia di un mondo che sai non ritornerà mai più ma è piuttosto un ritrovarsi, anche se solo per pochi istanti, in quel mondo che usava le Marche per i certificati; rivivere per un istante un mondo che, nel bene e nel male, è parte di te. Un grazie veramente di cuore alla persona che mi ha fatto, stasera, questo regalo.

Esserci sempre

Questa l’ho scattata nella stessa mattinata di dicembre in cui gli avevo fatto i ritratti. Avevamo finito di sfottere sul fatto cha Ciccio Cosco aveva voluto che gli facessi il ritratto con l’ impermeabile nuovo per mandarlo al figlio Gino. Mentre si allontanava ancora col sorriso sulle labbra scuoteva la testa come a dire quanto gli dispiacesse allontanarsi da quel modo di essere più che fa quel luogo. Ricordo che ho continuato a scattare foto nel tentativo di riprendere quel sorriso… senza successo purtroppo. Quando sono tornato a casa ho immediatamente percepito da uno degli scatti che avevo fotografato una mia sensazione più che uno stato reale. Presi dalla spensieratezza del momento non gli avevo chiesto niente del fatto che era stato male e in quell’incedere senza voltarsi mi era sembrato di scorgere tutto il non detto di quel nostro incontro. Ho visto in quel fotogramma più un addio che un arrivederci. Decisi allora che non l’avrei pubblicata tanto era dolorosa quella sensazione che il suo allontanarsi senza voltarsi fosse solo un tentativo di evitare di trasformare il sorriso in tristezza, fosse anche solo la tristezza di non sapere quando quel momento di allegria si sarebbe potuto ripetere. Tutti pensieri che mi attraversarono la mente accompagnati dalla speranza che questa fosse soltanto una mia reazione emotiva e non altro. Adesso, come un urlo liberatorio, riesco a vedere il suo volto sorridente mentre si allontana e questa fotografia acquista il suo senso originario del voler riprendere un attimo di gioia condivisa che vale per tutti i momenti che non ci saranno più. Un altro rettangolo di quella memoria collettiva che ci riporta piacevolmente al momento dell’esserci allontanando da noi la malinconica sensazione dell’esserci stati.

Ciao Cì

C’è una parte scanzonata del mio carattere che mi è venuta fuori, quasi per forza, quando, appena uscito da una fanciullezza timida e impacciata, ho cominciato a frequentare la famiglia Cosco: Mastro Gigino, Mastro Turu, e poi fino a poco tempo fa, Ciccio. L’allegria, la risata, quella sottile ironia, certe volte non proprio sottile e non tanto velata, che mostravano il volto di un mondo che non va preso troppo sul serio per evitare che diventi opprimente invece che vivibile. Marianna era il loro inno e nello stesso tempo il grido di battaglia e risuona nella mia mente ogni volta che la pesantezza si fa sentire. Mi bastava uscire un momento e lo incontravo, Ciccio, insieme all’inseparabile Mastru Giuganni, appena dopo la lamia, aru spuntuni. E giù racconti, aneddoti, canzoni e ricordi rielaborati con la quella teatralità che in lui era innata e che rendeva divertenti anche i fatti più truci. Era teatro puro senza saperlo, e dovevi farti violenza per decidere di ritornare a casa sapendo però che il pomeriggio dopo sarebbe continuato lo “spettacolo”.

Ed è questo in fondo che più mi fa star male: non è la morte che è nella natura delle cose, ma la costatazione che lo “spettacolo” non ci sarà più aru spuntuni e, soprattutto, il non aver saputo prevedere che tutto questo sarebbe finito. Rimane, dolorosa, la sensazione che una parte di quella “ leggerezza” che mi ha accompagnato fin’ora se n’è andata per sempre portandosi dietro tanti altri fatti, storie, canzoni, racconti, sberleffi e tanto, tanto disincanto. Ciao Cí