A rasa, a rasa!

Quante volte ce lo siamo sentiti ripetere da bambini e in un mondo in cui l’unico pericolo poteva venire dai muli e dai ciucci che, tra l’altro, erano sempre troppo carichi e stanchi per pensare di deviare dal loro percorso al centro della strada. Eppure il grido era sempre l’ultimo prima di superare la porta di casa, immancabile sulla bocca della madre: A rasa, a rasa figghjiarì. Che poi per le signorine era anche a doppio senso: voleva dire non soltanto di camminare accanto al muro, ma soprattutto di non scantonare in percorsi non voluti o non visibili. Era una forma del riga dritto che si applicava alle ragazze riguardo alla possibilità di dare confidenze ai ragazzi, ma che aveva un valore ancora più simbolico nei confronti dei ragazzi che si affacciavano alla vita e che sulla bocca del padre diventavano anche: Allineati e coperti! Statti vurpignu, U durmiri!
L’elemento di comicità sta nel fatto che adesso l’avvertimento lo si rivolge soprattutto agli anziani per i quali si traduce in un consiglio a camminare il più possibile accanto ai muri da utilizzare come protezione ma anche come sostegno e come filo d’Arianna per tornare a casa sano e salvo. Ciò non toglie che, per alcuni dei meno anziani, e sopratutto per i pochi ancora arzilli, questo avvertimento sulla bocca della moglie possa ancora valere consiglio di non scantonare!

Madonna mia pensaci tu!

Il 25 aprile di quest’ anno la chiesa della Madonna del Soccorso è stata elevata alla dignità di santuario: Santuario Maria SS. Soccorso… 

E’ cambiato solo un vocabolo ma, in tutti noi, si ha 1’impressione che sia stato messo un sigillo ad un documento importantissimo della nostra storia. Un documento scritto con la nostra grande devozione verso quest’Immagine la cui origine è avvolta nel mistero a nella leggenda. E’ come se, soltanto adesso dopo centinaia d’anni, ci rendessimo finalmente conto dell’importanza di questa piccola chiesa agli occhi del mondo. Importanza, naturalmente, sotto il profilo civile perché, per quanto riguarda quello religioso, anche se solo “”chiesa”“, è sempre stata presente nel nostro immaginario collettivo come il più sicuro rifugio contro le avversità.
Madonna mia i du Suncurzu aiutami… era l’unica e ricorrente invocazione sulla bocca delle nostre nonne nei momenti di difficoltà. Era tale la fiducia che non si esitava a porre nelle sue mani la soluzione di tutti i problemi:
Madonna mia i du Suncurzu pensaci tu…
Non c’è bisogno di tornare molto indietro nel tempo per ricordare le processioni con le quali la Madonna del Soccorso veniva portata alla “”Renella”” per fare in modo che piovesse dopo un anno di siccità o che smettesse di piovere dopo vere e proprie inondazioni. Qualcuno obietterà che sono solo residui di una cultura contadina credulona é ignorante ma, per molti di quei creduloni e ignoranti che seguivano in processione, la Madonna rappresentava 1’ultima speranza di sopravvivenza.
Gli ex voto che 1’Immagine ha raccolto nel tempo sono lì a testimoniare, se ve ne fosse bisogno, che la fiducia della popolazione era ben riposta e la processione, che il primo venerdì di giugno di ogni anno accompagna il quadro nella sua salita dal santuario al paese, rappresenta il momento più esaltante di questo legame
E’ solo questione di un attimo… ma la sensazione è sempre la stessa: la sensazione che quel quadro sia sempre troppo grande per passare indenne da quella porta. Tutti gli anni, alle nove di sera del primo venerdì di giugno, un attimo prima che il quadro della Madonna del Soccorso esca dal santuario mi coglie sempre questa specie di angoscia.
Un’angoscia che fa presto a trasformarsi in commozione nel vedere il movimento della folla che, in quello’ stesso istante, si rivolge tutta nella stessa direzione obbedendo ad un comando reciproco che dice soltanto: esce, esce!
E’ un tutt’uno; angoscia, commozione a infine quell’applauso liberatorio che riempie la piazza e ci fa sentire accomunati nel1’idéntico sentimento di gioia a di liberazione da un peso indefinibile ma presente.
I fuochi artificiali, che sulla collina di fronte cominciano a sfrecciare a ad espandersi nel cielo rompono, in parte l’incantesimo ma subito dopo sí riprende tutti dietro al quadro in un tentativo mai riuscito di costruire file ordinate di fiaccole accese. Troppe sono le persone a troppo stretta è la strada per poter conciliare l’ordine con il desiderio di stringersi intorno all’Immagine. Il fiume di folla che piano piano si dipana lungo la strada tortuosa che dal Santuario porta al paese diventa uno spettacolo stupendo che solo quei pochissimi impossibilitati a muoversi hanno il privilegio di godersi dai balconi ricoperti delle coperte più belle a da luminarie di tutti i colori.
In un periodo come questo in cui sembra di vedere il miracolo dappertutto, è forse spropositato definire nello stesso modo questo momernto catartico ma c’è del sovrumano nella forza che s’irradia dal quadro a unifica un popolo verso un solo sentimento così come certamente non mondano è il sentimento che porta molti dei nostri emigrati a tomare, con un viaggio massacrante, solo per i tre giocni di festa; solo per seguire la Madonna in processione. .
Non è certamente per fare notare che molte delle donne anziane e non, camminano ancora oggi a piedi nudi dietro all’Immagine; siamo troppo pochi nel paese per non sapeme il motivo.
A ben guardare il vero miracolo sta proprio nella condizione in cui ci veniamo a trovare in questa particolare serata che ci riporta in una dimensione troppo nascosta durante 1’anno da altri più pressanti interessi ma che è pur sempre presente nella nostra cultura e le cui radici sono troppo profonde per poterle facilmente sradicare.
Un sentiinento immutabile che ogni sammaurese, residente nel paese o distante migliaia di chilometri, porta impresso nella propria mente quasi come un cromosoma genetico che serva a distinguerci dagli altri. Persone anziane che vivono ormai da anni in terre lontane si portano dietro questo comune denominatore. Per molti di loro, rivivere nella memoria questo momento, significa rivedere in modo nitido, a volte, fatti altrimenti non ricollegabili.
Gli “”americani”” i nostri emigrati in America, gente di cui abbiamo ormai perso anche il ricordo, ogni volta che gli capita di tomare per una breve visita chiedono sempre se la processione si svolge nello stesso modo, che ricordano loro, o se si tratta dei figli, se si fa come gliela raccontavano i loro genitori. Sembra che il tempo non sia trascorso affatto perché seguendo il flo dei lòro racconti si scopre che per molti di loro, assistere per la prima volta a questo evento, significa rivivere con i loro occhi un film che già conoscevano, tanta era la precisione a la partecipazione nella descrizione che gli era stata fatta.
San Mauro Marchesato è un paese che in un periodo non molto lontano ha vissuto quasi con rassegnazione una povertà infinita, come del resto molti della nostra Calabria, ma se si va a rivedere le vecchie fotografie della festa, che qualcuno di noi conserva gelosamente in casa, molti particolari fanno emergere la particolare attenzione che la nostra popolazione ha sempre mostrato verso questa festa.
I vestiti nuovi, le luminarie, le decorazioni ai balconi ma soprattutto la folla presente alla processione, sono caratteristiche sempre presenti anche in momenti in cui i nostri genitori avevano ben altri problemi in testa che non il divertimento.
Sembra strano ma anche adesso, a cinque anni dall’inizio del terzo millennio, a San Mauro la festa mantiene ancora un sapore di cose antiche, un senso di genuina allegria che tutte le televisioni del mondo non sono riuscite a cancellare.
Non è un miracolo ma sicuramente è un bene di cui sentiamo il bisogno in un mondo in cui tutto è mercificato a sacrificato sull’altare del consumismo; a quelli che ricercano nuovi valori in tutte le direzioni non farebbe male riconsiderare questi aspetti della nostra realtà.

Articolo pubblicato sul “”Crotonese”” in occasione dell’elevazione alla dignità di Santuario della Chiesa della Soccorso di San mauro Marchesato

Juali e ri briganti

Natru juarnu Juali ha sagghjiutu subbra u pedi i d’amura chi si trova d’aru Scifu e ssi ndi stavia faciandu na bella manciata qundu a nnu certu puntu su arrivati i briganti.

Propria sutta chir’arvulu avianu pinzatu i si ripusari ppi manciari e ssi spartiri na quadara i sordi ch’avianu arrubbatu propria chira matina.

Juali u sapia cchi pisci pijiari e ra cosa cchijù brutta era ca doppu na pocu l’avia vinuta puru na grandi pisciata e nnu riusciva cchijù a stari senza i si sbacantari. Aspetta, aspetta, chiri pezzi i galera i ddra ssutta u ssi ‘ndi vulianu jiri. A nnu certu puntu Juali u cci la fatta cchjiù, s’ha sbuttunatu a vrachetta e ss’ha misu a ra fari duvi si truvava.

I briganti ch’eranu i sutta s’anu sintutu vagnari e s’hanu pinzatu ch’era n’aciaddru; allura u capu ha pijiatu a bumbarda e s’ha misu a sparari pallini a casacciu.

Juali, a chiru puntu ppi si guardari i du chjumbu chi arrivava ha cuminciatu ad abballari i na cima all’atra ccu nu fragalasciu chi vi ammaginari e mintiandu nu pedi sparu a ra fini è cadutu cuami na famazza propria subba a quadara i di sordi.

I briganti u tta pischi… chini miagghjiu putia fujiri, i na minzina e ddi natra, pinsandu cu ssi sà cchi d’era chira cosa chera caduta.

Juali, doppu chi s’ha riuscitu a s’azari, tuttu sdorganatu, ha vistu chira quadara chjina i sordi e nnu cci’ha pinzatu dua voti: s’ha carricatu a quadara ncuaddru e ssi nd’è gghjiutu a ra casa a cci cuntari tuttu chiru ch’era successu a mmammasa.

A mamma ha prima cosa c’ha pinzatu era s’ammucciari tutti chiri sordi ma pua l’ha vinutu subitu a mmenti c’u figghjiu, ciuatu cum’era, era capaci i du jiri a cuntari a tuttu u pajsi. Subbitu ha cuminciatu a s’arraccumandari:

“Vidi ppi nnu ru dici ad ancunu, ca pua si pensanu ca l’amu arrubbati e n’arrestanu!”

Ma siccomi u sapia cha Juali u riusciva da stari citu ha cuminciatu a vervariari subba cuami a putija cunsari chira faccenda. Allura ha fattu na pinzata: Ha sagghjiutu subb’a casa ccu na sporta i ficu e passuli e quandu Juali ha nisciutu fora i da porta a cuminciatu a cci jittari ncuaddru.

Juali, cuami ha vistu cadiri tutti chiri ficu e passuli ha subitu pinsatu ca stavianu chiuviandu, e ppi nnu d’arimiagghjiu si squagghjiavanu s’adi arrimiscatu a ri cugghjiri. Quandu mammasa ha scindutu i subb’a casa Juali tuttu cuntiantu cci l’ha mustrati e cci’ha cuntatu tuttu chiru ca era successu diciandu:

“Oi mà, mentri ca tu iari fora subba a casa nostra hanu chjuvutu ficu ccu passuli!”

Mammasa allura cci’ha rispundutu:

“Juà, sugnu cuntenta figgjiarì, ma tu mò u ru diri a nuddru sinnò pua tutti vuanu viniri a ra casa nostra quandu chjiova”

Cuami cci’avissi dittu… appena Juali ha gghjiutu ara gghjiazza subitu s’ha misu a cuntari a tutti chiri c’ascuntava u fattu i da quadara i di sordi. Menu mali ca quandu cci dicianu quand’era successu iddru prontamenti rispundia:

“Chiru juarnu chi chjuvianu ficu e passuli”

E tutti si mintianu a ridiri e pinzavanu a ra ciotija i Juali.