A tilivisioni i di Carcagnuti

Con la televisione la secolare civiltà contadina si apriva all’ignoto e questo prendeva il posto della dura realtà circostante nelle discussioni e nei ragionamenti.” Pirniciuni “Nella metà degli anni Cinquanta cambiò l’ordine sociale, che i libri chiamano civiltà contadina e il cambiamento arrivò, quasi senza accorgercene…cambiarono le abitudini, gli orari, il mobilio, le disposizioni delle camere, e in alcuni casi persino gli spazi sui balconi. E’ in questo periodo che arriva lo strumento rivoluzionario che riuscì a frantumare quello speciale equilibrio fra natura e umanità per costruire il quale era stata necessaria prima una rivoluzione nel neolitico e poi una seconda nel medioevo: la televisione.
C‘era già stata la radio che aveva rotto la secolare routine della tradizione orale e aveva sconvolto il costume dei giovani rispetto agli approcci amorosi e alla semplice socializzazione. ” ”
Persino gli elettrodomestici come il frigorifero e la cucina, pur rivoluzionando la destinazione spaziale della casa e le abitudini del lavoro casalingo, non erano riusciti però a sconvolgere la vita delle famiglie con la stessa forza dirompente di questa scatola magica piena di immagini in movimento.
E il cinema era sempre molto lontano e relegato ai racconti degli emigrati per poter rappresentare un gradino intermedio rispetto al fascino dei primi giochi a quiz che il Mike nazionale portava direttamente dall’America.
C’è da dire che la rivoluzione televisiva non investe immediatamente tutte le case, sono altri e più impellenti i bisogni che affliggevano le famiglie di San Mauro nella sua quasi totalità. Ma intanto i primi impiegati e le famiglie degli “”americani”” possono permettersela e diventano ambite amicizie da coltivare molto di più di quanto non lo fossero prima. Le loro case diventano il luogo di riunione esclusivo di donne e bambini della “”ruha”” dalle 6 di sera alle 11 quando davanti agli occhi che si chiudono dalla stanchezza scorrono le immagini del traliccio delle antenne che ha accompagnato per un ventennio la chiusura delle trasmissioni.
Per molti, per coloro che non avevano vicini “”televisivi”” la rivoluzione arrivò molto tardi e solo quando ormai la scatola magica cominciava a diventare un oggetto di consumo.
Per tutti gli altri non restava che “…Pirniciuni”…la televisione dei compagni…
Ma per i bambini era la televisione e basta e “”Pirniciuni”” era soltanto il “”San Pietro”” che ne possedeva la chiave. Era da “”Lui”“che dipendeva la possibilità di vedere come andava a finire la storia della “”Nonna del corsaro nero”” o riuscire a sapere se i cannibali avrebbero mangiato “”Robinson Crusoe”“.
Era quest’uomo burbero che parlava la “lingua” di Petilia che decideva il livello di chiasso sopportabile o compatibile con la visione delle avventure dei personaggi animati del “”Bracco Baldo Show”“, era lui che decideva il volume del sonoro e, quando era incazzato, persino l’orario di inizio e di fine della TV dei ragazzi. Meno male che il canale era uno solo altrimenti avrebbe deciso sempre lui le possibili alternative tra i programmi assumendo tutte le funzioni del moderno telecomando. Dico tutte perché in effetti buona parte le possedeva già. Tutto ciò che le primitive televisioni permettevano di modificare era di sua esclusiva competenza e le manopole erano le sue bacchette magiche. Nessuno poteva avvicinarvisi e se il tubo catodico faceva le bizze era lui solo a poterlo domare… se ne aveva il tempo… e in alcuni casi anche la voglia
ho sempre avuto il sospetto che ci prendesse gusto a ritardare l’intervento miracoloso sulle manopole, un po’ per burla, ma anche, e soprattutto per guadagnarsi una forma di rispetto che il suo aspetto da burlone non gli avrebbe potuto far guadagnare agevolmente.
Molto spesso il suo armeggiare intorno alla misteriosa manopola sul lato destro della scatola era anche un modo per attribuire all’antenna di San Nicola l’interruzione anticipata delle trasmissioni e liberare finalmente la sala dagli schiamazzi dei piccoli spettatori.
Oggi dopo tanti anni viene naturale associare le interruzioni grandinanti del televisore con l’arrivo dei primi avventori che utilizzavano il tempo mancante al telegiornale per farsi in santa pace una partita a tressette con immancabile primiera finale e relativa bevuta a danno del malcapitato destinato all’ “umbra”“
Ma allora lo schermo pieno di puntini bianchi e neri o con continue e vorticose strisce rotanti o ancora con strane righe diagonali, era soltanto il segnale di un divertimento finito e soprattutto l’impossibilità di scoprire come andava a finire la storia con l’angoscia indescrivibile di chi non sarebbe più riuscito a scoprirla, non avendo ancora inventata la moda delle repliche pomeridiane o notturne.
Ma Pirniciuni”” era anche sinonimo di gazzosa, al limone e al caffè, di orzata, di chinotto, di banane da leccare ma molto più spesso da veder leccare e bere dai più fortunati in possesso delle lire necessarie per acquistarle. Ma questa, insieme ad altre cose legate al personaggio, è un’altra storia…

A telivisioni i di cumpagni

La televisione, in fondo, era un semplice oggetto della cui utilità non si era per niente consapevoli, ne tanto meno si poteva dire che fosse utile alla sopravvivenza o al miglioramento della qualità della vita, bastava, però, accenderla, per ottenere l’attenzione di tutti davanti ad immagini e a suoni, che sconvolgevano il ritmo eterno della tradizione.
Niente era in confronto alle macchine, di cui si favoleggiava nei capannelli serali e nelle pause del lavoro, capaci di far lievitare a dismisura, come per miracolo, i quintali di grano prodotti all’anno, capaci di sostituire in un colpo solo la forza di svariati cavalli e imprecisate braccia umane. Eppure, quando “”i compagni”” ne comprarono una per gli iscritti, gli amici e gli altri, la vita sociale del paese cambiò in un colpo solo e con la dirompente violenza di una macchina frantuma abitudini che non aveva avuto uguali nella storia secolare del paese. ” ”
La televisione venne istallata su un alto sgabello addossato alla parete di un ambiente, che poco prima era stato un magazzino di derrate e attrezzi agricoli e, benché i compagni si fossero dati da fare per ripulire lo stanzone di Via Roma e passato una mano di calce e di tinta bianca, gli odori di cereali ammuffiti e di grasso meccanico, prevalevano sugli altri e restavano nell’inconscio collettivo insieme con le musiche, le immagini e le atmosfere dei primi film in bianco e nero. “”U Zzu Rusaru i cantaturu”“, “”Giginu i da Calabrara”” e “”Pirniciuni”” aprivano le porte dell’ex deposito qualche ora prima dello spettacolo, per dare la possibilità di prenotare le sedie am anche per servire da bere ai primi avventori, che per un motivo o per un altro trovavano il tempo per passare a farsi un tressette o una scopa ai tavolini di ferro, rotondi, e dalle gambe eternamente arrugginite. Il pubblico del resto era quasi sempre composto da “”compagni”” simpatizzanti e amici che prenotavano più per i loro figli che per se stessi. Consumare oltretutto era anche un modo per scaricarsi la coscienza del non aver messo niente “”intra u carusiaddru”” delle offerte che si raccoglievano per pagare il televisore e le spese di funzionamento.
Il posto poi si prestava anche alla frequentazione lontano da occhi indiscreti (le donne) e comunque abbastanza vicino a Piazza del Popolo, il centro del paese, per qualsiasi evenienza e necessità. Si era a tiro di imbasciata da parte dei bambini più piccoli, e lontani abbastanza dagli occhi severi di mogli gelose.
Del resto anche questo rendeva la televisione dei “”compagni”” un circolo esclusivo: le donne non potevano entrare e accanto al potere delle braccia, che aveva sempre dominato sulla donna per secoli, si andava a sommare il potere della conoscenza che la televisione trasmetteva soltanto all’uomo. Era l’uomo che portava a casa le notizie sul Festival di San Remo, su Miss Italia, sui vestiti delle attrici e delle cantanti, e, non ultime in ordine di importanza, sulle decisioni del governo.
Alla donna non restava che pendere dalle labbra del marito che analfabeta più di lei, magari anche meno intelligente, aveva però ascoltato il telegiornale e sapeva come andava il mondo al di la “”i du Cuarvo e du Sbarnaturu”“.
Più fortunati erano i ragazzi (solo i maschi… è ovvio) che potevano finalmente seguire i grandi in un posto dove invece prima era assolutamente vietato entrare se non peri l fugace momento di un’orzata o di una gazzosa al limone.
I ragazzi non sempre però venivano, e quando lo facevano preferivano rimanere accanto ai compagni di gioco, i più grandi in fondo, vicino alla porta, per sentirsi liberi di entrare e di uscire a piacere e i più piccoli in prima fila. Tutto questo però solo nel primo pomeriggio per la durata della tv dei ragazzi, che di seguire telegiornali o tribune politiche a questi non passava neanche per l’anticamera del cervello e preferivano i giochi di ruolo i più piccoli o lunghe “”ricoteddre”” a tema fisso (le donne), i più grandi.
Per i ragazzi che avevano la fortuna o sfortuna (perchè obbligati da un padre più apprensivo a non muoversi dalla sala) lo spettacolo della televisione diventava uno spettacolo nello spettacolo perché i commenti e le considerazioni degli anziani su quanto si vedeva sullo schermo, finalmente liberi dalle occhiate inquisitrici delle beghine, si sbizzarrivano fino allo stremo assumendo un che di comico che si faceva preferire allo spettacolo in bianco e nero. Le battutacce sulle cosce delle ballerine, sulla licenziosità degli abbigliamenti femminili, sui baci appassionati dei protagonisti, sulle protuberanze visibili in corrispondenza dei genitali dei ballerini classici, erano degne del piglior repertorio dell’avanspettacolo. Le risate che scaturivano dai volti espressivi degli attori sempre più frequentemente coprivano le battute dei protagonisti e la scarsa dimestichezza con l’italiano faceva si che tutto si riduceva a seguire le immagini più che i dialoghi. Del resto, gli sceneggiati di Bacchelli, pur nella grandiosa e fedele ricostruzione degli avvenimenti, si prestavano poco all’attenzione di un publico digiuno di libri e di lettere.
Non era infrequente accorgersi che durante le scene più drammatiche dei fratelli Karamazzof, “”u zzu Ntoni”“, “” u zzu Peppi”” e “”ru zzu Turuzzu”” se la dormivano della grossa con la bocca ben aperta e ronfante.