La storia cancellata

Una delle cose più stupide che siano mai state concepite a Crotone è  sicuramente il tentativo, riuscito, di far sparire qualsiasi traccia della realtà industriale del 900. Quasi fosse una vergogna avere soltanto pensato di avere un sia pur minimo barlume di volontà di riscatt0 dall’atretratezza e dalla schiavitù della terra. Ma forse questa cancellazione è la certificazione di una non cultura industriale che ha reso la Montedison solo un paravento dietro il quale nascondere la propria insipienza  e l’atavica incapacità. L’abbiamo fatta chiudere senza che il territorio ne ottenesse nulla in cambio…l’abbiamo demolita senza che rimanesse traccia… ma nel deserto che rimane anche tutti coloro che di questo scempio hanno goduto rimarranno a trionfare sul nulla! E pulcinella penserà di essere diventato generale soltanto perché qualcuno gli ha regalato una divisa….

C’era una volta….

C‘era una volta…  Quando?…  Dove?…

…E’ sconvolgente come due opportune domande rivolte al narratore in modo logico e opportuno, magari da un ragazzino anche ben disposto ad ascoltare, riescano ad interrompere, come in un corto circuito elettrico, la buone disposizione al racconto del narratore di turno. E’ pur vero che nell’antica tradizione dei racconti accanto al focolare, il nonno o comunque la persona anziana aveva affinato la tecnica per superare questi momenti disarmanti.

“Tanto tempo fa”, “in un tempo molto lontano”, “nei tempi dei tempi”, oppure, “in un posto molto lontano da qui”, “nel paese del re curioso”, “nel mondo dei ragazzi che sanno farsi i fatti propri”, erano alcune delle risposte che facevano si che il racconto potesse riprendere tra le risate generali e l’apparente appagamento della curiosità del ragazzino.

Ma se riflettiamo bene sulle domande impertinenti, ci rendiamo conto che esse non sono altro che un grimaldello che il ragazzino tenta di usare per inserire quella storia, fin dall’inizio in precise coordinate spaziali e temporali.

Nel suo elementare quadro spaziale e temporale, prima e dopo, lontano vicino, ha pur sempre bisogno di coordinate che lo aiutino a capire. Tanto più se la fonte del racconto, il nonno, rappresenta la principale figura di riferimento nell’economia della tradizione orale.

D’altra parte, il vecchio contadino ha bisogno di rimanere nel vago non tanto perché non ci sono dei dove e dei quando precisi nella sua storia, ma fondamentalmente perché è proprio nell’assoluta indeterminatezza che si fonda il mistero e il fascino della sua narrazione. E’ lui solo a conoscenza del dove e del quando, solo lui può, se vuole, svelarlo, solo lui deciderà quando farlo. E’ nello stesso tempo negazione di privilegi e promessa di un futuro di complicità.

Il ragazzino non può sapere che quel “c’era una volta” garantisce la veridicità della storia a prova di confutazione storica e logica. “C’era una volta” è garanzia di tutti i tempi e di tutti i luoghi, e garanzia di coerenza col tempo e con i luoghi reali dell’ascoltatore. Ma, nello stesso tempo, diventa l’attributo fondamentale dell’universalità dei tempi e dei luoghi favorendo la creazione di un non-luogo e non-tempo dove quella storia può avvenire senza perdere i connotati logici che un luogo e un tempo definiti renderebbero problematici.

“C’era una volta” diventa anche la frase iniziale distintiva tra la storia fantastica e la storia reale, un marcatore che rimane nella nostra memoria, un segnale posto sul confine tra la storia reale e la storia immaginaria.

Le domande impertinenti del ragazzino ci costringono a riflettere sulla non casualità delle formule narrative, su come l’arte della narrazione nella tradizione orale abbia saputo creare, nella sua lunga storia rispetto alla scrittura, formule “magiche” risolutive rispetto alle sue effettive potenzialità. Le ridotte capacità della memoria del singolo si esaltano, attraverso queste formule magiche, nella memoria collettiva che esse riesco a creare.

Il carattere evocativo delle formule iniziali rende l’ascoltatore soggetto attivo della storia e lo costringe a sforzarsi di trovare nei luoghi della sua fantasia la dimensione dei luoghi e dei tempi della storia. E’ in questo modo che l’intrinseca volatilità della memoria umana si trasforma in  patrimonio culturale indelebile. In questo senso la tradizione orale ha rappresentato, per millenni, il fondamento di tutte le civiltà “pre-storiche”.

La scrittura non ha eliminato questo fondamento, e per certi versi lo ha esaltato, ma con la sua aumentata trasmissibilità, ha ridotto a fenomeno elitario quello che era un patrimonio planetario.

 

Continua

Il Presepe vivente 2014

Cantina

Un modo per stare insieme, un modo per riscoprire il gusto di essere una comunità, comunque… Un modo per dirci l’uno con l’altro, magari soltanto con uno sguardo, che ci siamo ancora.
E nelle case vuote “i du timpuni i da Coddra” questo senso di appartenenza si grido disperato di un mondo che “deve” scomparire, che non ha futuro se non nella memoria…
E nei vicoli scoscesi di questo rione ripopolati come per incanto dalle scene di un rito ancora più antico rinasce come per magia un mondo che è stato vivo e pieno di speranze e che ora non è più…
E mentre il vociare del rito si mescola ai suoni delle zampogne risuonano nelle orecchie voci lontane di donne meravigliose che richiamano i bambini al fuoco del camino, o il rumore degli zoccoli animali, e delle scarpe chiodate dei loro padroni, che risalgono l’irto come l’ultima delle loro penitenze di quel giorno,,,
Salire e scendere l’irto con le stradine che simmetricamente si dipanano come rami di un abete silano, diventa un modo per cercare con gli occhi della memoria tutti i possibili nascondigli dell’ammucciateddra; tutti gli scalini più larghi per contenere quella comunità di bambini orfani della televisione ma ricchi delle immagini fantastiche dei racconti al focolare.
Sono nella testa i suoni, i rumori, i profumi, i nomi, le figure, le ombre di un mondo in cui la realtà si confondeva con la fantasia in un continuum senza margini di separazione… Un mondo del “poco”… nel bene… ma anche nel male!