Ti riaguli

Ti riaguli
Ti riaguli

Era la frase con la quale, quasi sempre, “”u Zzu peppinu”” Cavarretta rispondeva a quelle persone che con l’idea di mostrarsi gentili a tutti i costi, gli rivolgevano domande che presupponevano riposte scontate o, quanto meno, abbastanza prevedibili.
Che senso aveva per esempio domandargli se era stato in campagna quando lo si vedeva passare a cavallo del suo asino, in abiti da lavoro, con il basto carico di armenti e la stanchezza disegnata sul suo volto? ” ”
Quale risposta non scontata poteva ricevere chi, vedendolo scaricare i barili del vino, lo interpellava con la domanda: “”Peppì… ha vindumatu?”“
E quando seduto sulla sua sedia accanto all’uscio di casa, all’angolo con piazza carrera, si ritrovava a dover rispondere a domande del tipo: Peppì… ti ripuasi?”“
Forse una persona un pò meno paziente, o un pò più maleducata, avrebbe potuto rispondere in modo più pertinente e conseguenziale: “”No!.. staiu abbaddrandu!”“…Oppure, proprio per far terminare lo stillicidio delle domande sciocche: “”No!… Stai cuntandu chiri ca passanu e mi addimmandanu si mi staiju ripusandu!”“
E invece no… la pazienza e la saggezza atavica dei molti anni trascorsi a rispondere convenzionalmente a domande altrettanto convenzionali, lo aveva portato a rispondere con questa frase piena di senso e profondamente cinica nella sua essenza….”“Ti riaguli”“
Una frase che non lasciava scampo all’interlocutore:
Se era intelligente capiva di aver fatto una domanda inutile e rifletteva sulla logica micidiale della risposta.
Se invece, come nella maggior parte dei casi accadeva, l’interlocutore era più stupido della domanda, questi se ne andava ridendo con la convinzione che Peppino era proprio “”strolacu”“.
“”U Zzu Peppinu”“, moderno Bertoldo Sammaurese aveva invece molto probabilmente compreso quanto fossero formali certi discorsi convenzionali e quanto inutili la maggior parte dei ragionamenti fatti solo per riempire il tempo, e si era stancato di sprecare il fiato per discorsi inutili.
Quante parole inutili, soprattutto nell’era della comunicazione, quanto parlarsi addosso nella società dell’effimero, quanti Azzegarbugli nel mondo della complessità. Le parole prendono il sopravvento sull’osservazione e il ragionamento e i silenzi della riflessione lasciano il posto al chiacchiericcio vuoto e inconcludente.
Lui che era nato nel mondo della sostanza dove anche le favole invitavano alla moderazione nel parlare, (Juali doveva vendere la tela solo a persone di poche parole) sapeva che anche le parole avevano un peso e un valore.
E allora perchè sprecarle quando bastava un “”Ti riaguli….”

SANTA LUCRIEZZA

Oh, cchi minzogna! Oh, cchi crudelitati

chi li successa a ssa serva di Dia!

Cumpari e cumpari si su’ (d) affruntati,

ha fattu fini la cum‑mari mia…

Cumpari, si mi dici a veritati,

1’haju di fari cumu dicu ia.

Cumpari, s’ u’ ll’averra scandagghiatu…

nemmenu ti dicerra ra bugia!

Tutta la notti si l’hanu cuntristata:

Jamu, Lucriezza mia, a ra Scavunìa? –

Jamu, Giulia mia, a ,ra Scavunìa,

sempr’adurandu ;la Matri di Dia

Quandu hanu arrivatu .a chira gghiesa

a pigghiau a Lucriezza a l’accidìu.

Gesù e Madonna, cchi maritu ngratu,

pur’i na santa puorti gelusia!

Si s’averra cumpissatu e cumunicatu,

mi la pierra impacienza di Dia!

Na fossa di carvuni cci ha cavatu

e zanchi e sterru i (d) ammenzu la via.

A l’ottu jorni di la matinata

è jjuta a Madonna di la Scavunia:

Lévati, Lucriezza mia. cumu na fata

morti facisti ppi d’amuri mia.

Lévati priestu e mìntati ncaminu,

ca la via di Tarantu amu i fari.

Arriedi a porta i Giuliu hanu arrivatu,

prima na botta a pua na truzzulata:

Tu si ncunu dimoniu, ncunu dannatu

e ssi vinutu nu’ mmi tenti a mia!

U’ ssugnu nè dimoniu nè dannatu,

Haiu purtatu a Lucriezza onurata,

adura a d’ iddra cchiù ch’aduri a mmiu.

Giuliu facci nterra s’ha jjttatu,

sempri adurandu la Matri di Dia.

Chiru cumpari chi m’ha nziniatu,

1’haju di fari cumu dicu ia.

Giuliu, nu’ ttuccari u Sangiuvanni,

ca chianu chianu lu castigu ia;

ca vacchi a bua ci nd’haju livatu

e mo lu cacciu d’ogni s’ignuria.

Quandu a Madonna pigghià ppi si ndi jiri,

Santa Lucriezza si misi d’a ciancìri.

Citu, Lucriezza mia nu’ cchiù ciancìri,

ca tre voti u juornu ti vegnu a truvari. ‑

Parola d'onori

Tutte le discussioni, i contratti, le compravendite, le affermazioni di verità asserite, i resoconti di attività svolte o viste svolgere, in poche parole, tutti i rapporti tra “uomini”, si concludevano con la frase “Parola d’onori”.
Mi sono accorto molto presto che questa frase non era solo un modo di dire delle persone più grandi, quando per la prima volta mi sono trovato ad esprimermi in questo modo in presenza di mio padre.
– Ricordati che la parola d’onori è tutto per un uomo e non si può dare a cuor leggero, non puoi usarla per cose da nulla, riservala per le cose che contano e soprattutto usala solo quando sei sicuro di poterla mantenere. Mancare alla tua parola significa non avere più credito tra le persone e assumere il ruolo di “bardarellu” nella comunità.
Mio padre ovviamente non si fermò qui e condì il ragionamento con una serie di esempi concreti e di raffronti con alcune persone di nostra conoscenza diretta, o indiretta, che mi fecero passare la voglia di dire spensieratamente le due magiche parole.
Più tardi ho sentito più volte il contraltare della formula: “E’ vinutu menu a ra parola, è nu bardarellu!” Oppure: “Cuami cci l’affidi na figghjia i mamma a nu bardarellu ca u riescia da mantiniri mancu a parola c’ha datu! ” Ed ancora: “ma cchi d’uamu si ca u ssìi capaci mancu i mantiniri a parola c’ha datu, e nnu vva tti ncafuni i na timpa!”
Era il principio di un comportamento ostracistico nei confronti dell’interessato che, se non si traduceva in una inimicizia conclamata, era sicuramente condita di molta freddezza e indifferenza nei rapporti successivi.
In un microcosmo in cui “a cridenza” molto spesso rappresentava l’unica possibilità di sopravvivenza, non mantenere la parola data significava molto spesso la fame per se e, cosa ancora più grave, per l’itera famiglia. 
Quanta acqua è passata sotto i ponti da allora; la formula è diventata anacronistica al tempo dei contratti scritti e della comunicazione globale ma, forse, quello che è diventato anacronistico è soprattutto l’onore.