Cartoline

Ci sono nel mio archivio cimeli che hanno una importanza documentale di valore inestimabile in prospettiva storica. Questa cartolina, una pittografia del 1942, mostra alcuni particolari che la memoria degli uomini non potrebbe mantenere senza un riferimento visivo. Per molti dei sessantenni di oggi il campanile con la piccola campana è presente nella parte più recondita della loro memoria ma nessuno di loro saprebbe riprodurlo su carta senza l’ausilio di un’immagine. Tutti risponderebbero con la nostra espressione tipica: “Mu ricuardu cumi nu suannu”. Ecco la bellezza della fotografia: riportare le cose nella loro dimensione reale togliendole dall’evanescenza del sogno; in questo consiste quello che in “Rettangoli di memoria” descrivevo come il suo farsi dovumento, fonte certa, necessità fondativa per la nostra comunita. Ho trovato immagini del nostro passato nella spazzatura, ho rovistato le discariche come un affamato in cerca di cibo. Ho provato un senso di smarrimento di fronte alla colposa ignoranza di coloro che avevano buttato la memoria della loro famiglia e della comunità nella spazzatura. Bisogna costruire la cultura della memoria che sappia distinguere il materiale dell’immaginario e sappia promuovere ogni più piccolo particolare come un necessario tassello per la composizione del mosaico. Una cartolina, una fotografia, una lettera, sono elementi “Matrioska”, che contengono al loro interno nodi di una rete informativa troppo preziosa per diventare un rifiuto. Ognuno può essere “nodo” di questa rete semplicemente conservandole, o più attivamente, pubblicandole.

Assolate giornate d’agosto

Piazza del Popolo
Piazza del popolo

Assolate giornate agosto. Sempre le stesse, la piazza sempre vuota con i sedili che si riempiono piano piano seguendo il criterio del fresco: “a matina a ru siattu i Liviu e ra sira a ra scala i Peppina i Petruzza”. E gli occupanti rimangono eternamente gli stessi dal punto di vista generazionale: niente giovani, loro vanno a stare al fresco sotto l’ombrellone. Non cambia niente nelle costanti di sempre, nemmeno i discorsi: “n’ annata cumi chissa ija mo è parecchjiu c’ u ra vìdjia! Le case, la forma delle macchine, particolari transitori e utili solo dal punto di vista della storia personale o locale; il resto no, Il resto è immutabile in un eterno ritorno o dell’ uguale che se la ride della nostra memoria individuale. Eppure tutto questo, per la prima volta nella storia, è destinato a finire insieme alla storia millenaria della cultura contadina: nella civiltà virtuale dei social network il fresco dei condizionatori prende il posto dei sedili in piazza e le generazioni si dividono nelle chat private, ma i discorsi no; i discorsi rimangono gli stessi: Un caldo così non si è mai visto.
E le pietre se la ridono della scarsa memoria degli uomini!