Mastru Peppi e ra purga (Mastro Giuseppe e la purga)

Per non dimenticare…

Mastro Peppe non parlava volentieri di queste cose; aveva quel sano distacco che derivava dallo scetticismo circa la reale volontà di comprensione dei fatti che credeva di vedere negli occhi dei suoi interlocutori.
Io però ero insistente, e lui non poteva neanche allontanarmi con una scusa: essere il suo manovale nei lavori edili che stavamo facendo a casa sua mi dava questo vantaggio che invece non potevo avere nella sezione: Li infatti, ogni volta che cercavamo di interrogarlo sui suoi trascorsi anti fascisti, rispondeva quasi a monosillabi e solo per negare o confermare i racconti che gli atri ci avevano fatto a riguardo.
In alcune occasioni mi era parso di vedere nella sua ritrosia una forma di disillusione rispetto alla utilità delle azioni che lo avevano reso “famoso” ai nostri occhi. Per molti anni dopo il fascismo, e fino all’arrivo della nostra generazione, aveva avuto l’impressione che quei fatti venissero raccontati dai suoi compaesani più con aria di scherno che con orgoglio. Era come se si fosse convinto egli stesso che in fondo era stato più un fesso che un eroe: lui, e quelli che si erano comportati come lui, in fondo non ci avevano guadagnato neanche la stima di quelli che quei fatti li avevano visti e che si ritrovavano dopo sul fronte democratico.
In alcune occasioni si era lasciato sfuggire una frase che solo dopo alcuni anni riuscii a comprendere appieno: “E’ miagghjiu ca mi sfuttanu, sinnò su costretti a ccumpissari quantu su stati vigliacchi loru”. Lui che parlava sempre in italiano aveva pronunciato quelle parole in dialetto e quasi come un sussurro. Era quasi come se la sua storia fosse la cartina di tornasole dell’ignavia, quando non la vigliaccheria, di quelli che subito dopo la guerra millantavano comportamenti politici che avevano nella fantasia la loro componente fondamentale. C’era chi aveva fatto opposizione al fascismo più o meno apertamente, e a contarli tutti sembrava che i fascisti a San Mauro fossero stati solo in tre: il podestà, il prete e la camicia nera.
Un giorno, forse perchè aveva capito che la mia curiosità era solo di tipo squisitamente storica, o forse perchè sentiva il bisogno di smitizzare le favole che sentiva in giro, mentre dava colpi di pialla a un tavolaccio sul bancone, mi chiese che cosa volevo sapere.
Ero così sorpreso che tutte le possibili domande che avevo sempre avuto in mente di fargli mi sparirono dalla mente e riuscii a mala pena a biascicare la parola purga… la purga… mi racconti di quando gli diedero la purga!
Gli sfuggì un sorriso. Lo sapeva che tutto si riduceva a quel fatto. Aveva ragione lui: lui, in fondo, era solo quello a cui avevano dato la purga!
Vedi – iniziò a dire – io non ero fascista come la maggioranza della popolazione di San Mauro, anche se molti per convenienze varie e per quieto vivere non si mostravano mai apertamente ostili. In fondo, a parte alcune occasioni in cui bisognava mostrare al mondo l’amore per il Duce e per il Fascismo, nessuno pretendeva la partecipazione attiva di quelli che non ci credevano: bastava non rendere palese la propria contrarietà e si poteva continuare a vivere come se il Fascismo non ci fosse.
Il sabato c’erano sempre quei solerti impiegati o quelli comunque legati alle rimesse statali che con le loro famiglie e i loro lacchè facevano riuscire le manifestazioni di celebrazione che in questo giorno venivano organizzate.
C’erano però dei sabati particolari in cui tutti dovevano partecipare perchè il numero dei partecipanti era necessario al prestigio dei capi locali del fascio. In queste giornate io – continuava a raccontare – non andavo mai in piazza e lavoravo tranquillamente; nessuno aveva mai avuto da ridire, anche perchè il sabato cercavo di lavorare solo con la carta vetrata e facevo lavori di rifinitura per evitare di farmi sentire dalla strada.
Un sabato però, proprio il giorno in cui a San Mauro arrivava il federale, mi ritrovai costretto a usare il martello perchè dovevo consegnare un lavoro il cui rinvio mi avrebbe provocato una penale molto onerosa per le mie scarse finanze.
E allora quale migliore occasione per mostrare i muscoli al federale, mi ero spontaneamente candidato a pericolo pubblico comunista e disfattista che la camicia nera e i membri del fascio locale potevano immolare sull’altare della loro efficienza.
Mi vennero a prendere in mezzo a uno stuolo di “spettatori testimoni in gloria” e mi portarono in farmacia dove davanti al “direttorio” mi fecero ingurgitare  la “purga”. Quella che fu una dose di buon peso, era in piazza già diventata un litro, e negli anni successivi si rasentava il barile.
Lo spettacolo era riuscito bene e l’epopea della forza punitiva del regime anche a San Mauro aveva potuto compiersi ma l’unico risultato che avevano ottenuto è stato quello di farmi passare da anti fascista latente a antifascista militante: da quel giorno, tutti i sabati il mio martello picchiava più forte degli altri giorni e solo in pochissime altre occasioni mi fu imposto la salutare punizione.
Aveva finito il racconto quasi ridendo e sulle labbra gli era rimasto uno scherno amaro come di una bocca che non sapeva se piangere o ridere.
Rimasi in silenzio per un po senza sapere cosa dire: il tono con cui aveva continuato a parlare mi aveva lasciato perplesso:
Io lo stavo già innalzando nell’Olimpo dei miei eroi e lui sembrava voler allontanare da se qualsiasi aura di eccezionalità.
Non riuscii a trattenermi dal pensare ad alta voce: Mastro Pè, mi state dicendo che siete stato soltanto vittima di circostanze e non artefice di un disegno politico preciso? In sostanza voi non  eravate d’accordo col Fascismo ma non eravate un convinto antifascista e tanto meno un comunista rivoluzionario?
– Francesco, io ero anti tutti quelli che non mi facevano lavorare al sabato e si accanivano su di me che ero debole e di indole pacifica. Antifascista e comunista lo sono diventato dopo il ’45 quando ho visto che quasi tutti quelli che comandavano durante il regime, i padroni, erano diventati democristiani e i comunisti erano quelli che difendevano la povera gente come me e nelle cui file militavano quelli che non partecipavano alle pagliacciate del sabato. Poi negli anni 50, e soprattutto adesso tutto e ritornato come allora: Da una parte quelli che comandano e fanno quello che gli pare e piace, e dall’altra quelli che per difendere le miserie che i padroni gli buttano come ossi sono disposti a piegarsi e girarsi dall’altra parte. E allora mi viene di pensare alle mie purghe come una cura forzata contro la stitichezza piuttosto che come vessillo di una rivolta che non ha mai avuto seguaci.
Dopo di allora, senza le mitiche purghe a dividerci, le nostre discussioni furono molto più leggere, meno gravide di aspettative e di furori politici, e da Mastro Peppe riuscii a sapere molte cose che forse senza quello sfogo non avrei mai saputo

Lascia un commento