Il pero

Il pero on Flickr.

I ricordi vagano perdendosi nel verde e nel giallo delle giornate di giugno quando il frastuono delle cinghie della trebbia copre il suono del cinguettio degli uccelli e il monotono assolo delle cicale.
Il fresco dei rami, l’odore delle patate fritte che, raccolte nell’incavo del pane, nella “viartula”, sotto il basto, stanno finendo di cedere il loro condimento.
Il fresco dell’acqua che devi imparare a sorbire dal boccaglio della “gumbula” senza appoggiarci le labbra, perchè solo così sei “grande”. Solo i bambini bevono dalla “gumbula” o dal “varrili” appoggiandoci le labra.
E i discorsi sulla consistenza delle “timugne”, che sono ogni anno più piccole… e sul posto poco adatto per piazzare la trebbia…. – L’anno prossimo la dovremo fare più a valle e non voglio sentire ragioni sulla lunghezza del traggitto dal seminato all‘“aria”. –
E gli improperi agli addetti agli aghi della pressa che stanno facendo uscire troppe “balle” sciolte… – “che tanto “u ferrufilatu” mica lo pagano loro”-
La vista dello spettacolo dell’uomo della “Jusca”, che col suo fazzoletto sulla bocca e il cappello di fazzoletto annodato, in equilibrio sul palo “mpaiato” al mulo, sembra un cavaliere del circo, e magari fantastichi sul fatto che un giorno anche tu sarai capace di farlo, senza chiederti minimamente quanto il cavaliere sia felice di essere il protagonista del numero da circo.
Il pero e il fresco delle sue fronde diventano la tua tribuna riservata per uno spettacolo al quale hai avuto la fortuna di assistere senza renderti conto che proprio nel non esserne stato protagonista consiste la tua fortuna.
E le cicale continuano la loro effimera cantilena anche la sera, quando le radici del pero diventano il cuscino del riposo notturno.

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